Omicidio della vigilessa di Anzola: la testimonianza medica che incrimina il commissario Gualandi
Il processo per l’omicidio della vigilessa Sofia Stefani si intensifica con testimonianze chiave, evidenziando la premeditazione e l’assenza di prove di colluttazione contro il commissario Gualandi.

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Il processo per la morte della vigilessa Sofia Stefani, avvenuta a Anzola dell’Emilia il 16 maggio 2024, sta facendo emergere dettagli inquietanti e rilevanti attraverso la testimonianza del medico legale. L’accusa sostiene che si sia trattato di un omicidio volontario e, con le recenti dichiarazioni, si rafforza la posizione della Procura. Il commissario Giampiero Gualandi, coinvolto in un complesso rapporto di ordine affettivo con la vittima, è accusato di questo crimine, mentre continua a proclamarsi innocente, sostenendo che si sia trattato di un tragico incidente.
I dettagli dall’autopsia di Sofia Stefani
La dottoressa Valentina Bugelli, medico legale incaricato dall’autorità giudiziaria, ha fornito una testimonianza determinante durante il processo in Corte d’Assise a Bologna. Secondo le sue dichiarazioni, non ci sarebbero prove di una colluttazione fra Sofia Stefani e Giampiero Gualandi, escludendo anche l’ipotesi di un accadimento accidentale. Il proiettile che ha provocato la morte della vigilessa ha invece un chiaro intento “omicidiario”, suggerendo volontarietà.
L’analisi della traiettoria del colpo è stata particolarmente incisiva. Secondo Bugelli, il proiettile ha avuto un’inclinazione dal basso verso l’alto di soli 22 gradi, portando a conclusioni che negano l’idea di un colpo partito accidentalmente o come conseguenza di un confronto fisico. L’assenza di DNA della vittima sull’arma utilizzata per l’omicidio lascia pensare che non vi sia stata interazione fisica diretta tra la vittima e la pistola al momento dello sparo.
Le prove che supportano l’accusa
La testimonianza di Bugelli non si è limitata a osservazioni generiche ma ha offerto diversi elementi a sostegno della tesi accusatoria. L’affermazione che le escoriazioni sulle mani di Gualandi risalgano a prima del 16 maggio, così come il ritrovamento dell’arma, priva di qualsiasi traccia del DNA della vittima, contribuiscono a costruire un quadro di volontarietà dell’azione. Allo stesso modo, le lesioni riportate da Sofia Stefani non sembrano coerenti con una colluttazione: Bugelli ha osservato che una vera e propria lotta avrebbe comportato conseguenze ben più gravi per entrambi i soggetti coinvolti.
L’analisi del contesto in cui è avvenuto l’omicidio è altrettanto significativa. Gli ambienti di lavoro non presentavano segni di disordine. Bogelli ha sottolineato che tutto, dalla borraccia ai faldoni, era in ordine, suggerendo che non ci siano stati eventi imprevisti o di alterco prima dello sparo. Questi dettagli sono cruciali per dimostrare la tesi dell’accusa: un omicidio premeditato e non un incidente frutto di una colluttazione.
La testimonianza del consulente di parte civile
Dopo l’intervento della dottoressa Bugelli, ha preso la parola il consulente di parte civile Andrea Casolino, che ha concordato con le osservazioni riguardanti le lesioni delle mani della vittima. Casolino ha evidenziato la mancanza di lesioni compatibili con un massaggio cardiaco, che Gualandi avrebbe affermato di aver praticato dopo aver allertato i soccorsi. Quest’elemento aggiunge un ulteriore tassello al mosaico dell’accusa, suggerendo la possibilità di una mancanza di assistenza adeguata nell’immediato seguito dello sparo.
Questa serie di testimonial e prove portano a rafforzare le ipotesi accusatorie sulla volontarietà dell’omicidio. Il processo continuerà ad esaminare nel dettaglio i comportamenti e le azioni di Gualandi, mentre la comunità di Anzola dell’Emilia segue con attenzione l’evolversi della vicenda.