La paura si impone tra eletti e elettori: il nuovo volto della politica italiana
Il clima politico italiano è segnato da insicurezza e paura, amplificati dal decreto sicurezza, che minaccia diritti fondamentali e alimenta tensioni sociali e repressione delle manifestazioni di protesta.

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Il clima politico italiano degli ultimi anni è permeato da un senso generalizzato di insicurezza, un fenomeno che colpisce tanto gli eletti quanto coloro che li votano. La vera natura della paura, che viene strumentalizzata in vari modi, sembra riconoscere un legame profondo tra la sinistra e la destra. La recente approvazione del decreto sicurezza ha scatenato ulteriori timori, non solo in merito alla sicurezza pubblica, ma anche riguardo al rispetto dei diritti fondamentali, mettendo in discussione la fiducia dei cittadini verso le istituzioni.
Paure degli eletti: un gioco politico opportuno
Il concetto di paura emerge come un elemento chiave nel dibattito politico attuale. Gli eletti, spaventati dalla possibilità di non riuscire a fare approvare leggi che possano convincere i propri elettori, ricorrono frequentemente alla fiducia nel voto del Parlamento. Questa strategia, oltre a dimostrare una certa fragilità, riflette un’amara realtà: l’incertezza e la mancanza di consenso stanno caratterizzando l’azione politica, mentre questo clima di paura si riversa anche sugli elettori, i quali si sentono perseguitati e vulnerabili.
Un esempio emblematico è l’approvazione del decreto sicurezza, che ha scatenato un pessimo pasticcio legislativo in nome di concetti come ordine e disciplina. Questo decreto non solo decreta la fine di alcuni diritti umani, ma rappresenta anche un attacco frontale al diritto internazionale. Con il rimpatrio di un criminale ricercato dalla Corte Penale Internazionale, il governo ha dimostrato una volontà di disconoscere i principi stabiliti dalla nostra Costituzione, evidenziando una contraddizione tra la legalità internazionale e le azioni intraprese sul territorio.
La costituzione e i diritti in pericolo
La situazione si fa ancora più critica se si considerano gli articoli della Costituzione nazionale, tra cui l’articolo 11, che fornisce un’importante cornice sulla guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Il governo attuale, nonostante le sue proclamazioni, sembra ostinarsi nella sua visione militarista, giustificando ogni violazione in nome della sicurezza. Analogamente, come evidenziato nell’articolo 10, il diritto d’asilo viene sottratto ai migranti, con rimpatri forzati verso paesi che non garantiscono i diritti fondamentali.
Le manifestazioni, che dovrebbero rappresentare un diritto sacrosanto , vengono soffocate dalla paura e dalla repressione. Il decreto sicurezza, attraverso “interpretazioni autentiche”, si orienta verso una sola direzione: mantenere il controllo e limitare le voci dissententi. Queste leggi minano non solo il diritto di riunione, ma fomentano un clima di sfiducia e paura tra la popolazione, facendo leva sulle sue fragilità.
L’innalzamento della tensione nelle carceri
Un aspetto cruciale che non può essere trascurato è l’aumento della tensione nelle carceri italiane, risultato diretto del decreto legge del 4 aprile 2025. Con l’introduzione di nuovi reati e il rigore delle pene, la condizione nelle strutture penitenziarie è divenuta sempre più insostenibile. I nuovi ingressi in carcere riguardano persone che prima non sarebbero state incarcerate, incrementando la già critica situazione di affollamento e tensione. Questo è aggravato dall’assenza di investimenti in infrastrutture e formazione del personale penitenziario, portando a una spirale di conflitti interni, sempre più spesso sfocianti in rivolte.
La recentissima introduzione del reato di rivolta carceraria ha creato un’ulteriore linea di demarcazione nella relazione tra autorità e detenuti. Le pene più severe per chi partecipa a queste sommosse non soltanto non riducono la conflittualità, ma contribuiscono ad accrescere la sensazione di impotenza nei detenuti, che si sentono sempre più oppressi da un sistema giudiziario che non offre reale giustizia.
Il decreto sicurezza e le proteste: una repressione in atto
In questo clima di paura e repressione, le manifestazioni di protesta sono sempre più a rischio di trasformarsi in atti puniti severamente. Con il recente decreto, i blocchi stradali e ferroviari sono stati trasformati da illeciti amministrativi a penali, con pene che possono arrivare fino a un mese di reclusione o multe fino a 300 euro. Ciò rappresenta non solo una forma di limitazione della libertà di espressione, ma un attacco diretto ai diritti civili, puntando a silenziare le voci di dissenso.
Il governo, incapace di affrontare i veri problemi sociali, cerca di deviare l’attenzione su aspetti più marginali, aggravando sempre più il clima di paura. Un approccio coercitivo non solo è inefficace nel risolvere problemi strutturali, come il femminicidio o la violenza di genere, ma rischia di generare un circolo vizioso di esclusione e ritorno alla criminalità. Le politiche di repressione non offriranno mai una soluzione duratura.
L’intera situazione evidenzia la necessità di intervenire non solo sul piano punitivo, ma anche sul piano sociale. Risolvere le cause della criminalità e delle paure collettive richiede un approccio inclusivo e costruttivo, piuttosto che ricorrere alla semplice repressione. Gli investimenti in servizi sociali e iniziative che possano promuovere l’inclusione risultano essenziali per creare una società più coesa e sicura.